L’anatocismo esce dalla porta ma rientra dalla finestra: nella bozza di regolamento messa in consultazione dalla Banca d’Italia in attuazione dell’articolo 120, comma 2 del Tub, recante il divieto di calcolo di interessi sugli interessi che siano già maturati su un dato capitale, non si cancella infatti la prassi di effettuare l’anatocismo e cioè di conteggiare “interessi sugli interessi”, ma la si pospone solamente di 60 giorni. Questa disciplina attuativa sta venendo alla luce sotto l’evidente impulso del moltiplicarsi di sentenze per lo più sfavorevoli al sistema bancario, “reo” di aver continuato a praticare l’anatocismo nonostante il divieto di addebitare “interessi sugli interessi” contenuto nell’articolo 120, comma 2 del Tub (il testo unico bancario). La consultazione avrà un rapido svolgimento, in modo da avere le nuove norme vigenti per gli interessi che matureranno dal 1° gennaio 2016.
La vicenda
La storia di questa normativa è stata assai tormentata: da ultimo, si ha appunto a che fare con l’articolo 120, comma 2 del Tub (quale introdotto dall’articolo 1, comma 629 della legge 147/2013), per il quale il Cicr deve stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, «prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale».
Si tratta di una norma che non brilla certo di chiarezza. Da un lato, infatti, pone il divieto di anatocismo («gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori») ma, d’altro lato, riferendosi alle «operazioni di capitalizzazione», sembra comunque in qualche modo consentirlo.
La proposta Bankitalia
Ora la Banca d’Italia ha messo dunque in pubblica consultazione (fino al 23 ottobre 2015) la proposta che intende formulare al Cicr per dare attuazione all’articolo 120, comma 2 del Tub. In questa proposta, in particolare, si afferma che nei contratti di apertura di credito in conto corrente e nei contratti di finanziamenti a valere su carte di credito:
– gli interessi attivi e passivi devono essere conteggiati con la stessa periodicità (comunque non inferiore a un anno);
– il conteggio degli interessi si effettua il 31 dicembre di ciascun anno (o, se anteriore, il giorno in cui termina il rapporto da cui gli interessi si originano);
– gli interessi maturati devono essere contabilizzati separatamente rispetto al capitale, in modo che non ne sia influenzato il calcolo degli interessi dovuti sul capitale;
– gli interessi, sia attivi che passivi, divengono esigibili con il decorso di 60 giorni dal ricevimento da parte del cliente dell’estratto conto o delle comunicazioni di cui rispettivamente all’articolo 119 del Tub e all’articolo 126-quater, comma 1, lettera b) del Tub (fermo restando che il contratto può prevedere termini diversi, ma a favore del cliente);
– decorso il termine di 60 giorni (o quello superiore eventualmente concordato), il cliente può autorizzare l’addebito degli interessi (sul conto o sulla carta di credito); in tal modo, la somma addebitata va a far parte del capitale, sul quale si calcolano gli interessi; insomma, gli interessi sono sterilizzati per un anno e 60 giorni, dopo di che sono capitalizzati e si ha nuovamente anatocismo.
Gli interessi in gioco
Gli interessi in questione, di cui si è finora parlato, sono quelli “corrispettivi” (e cioè quelli che hanno funzione di remunerazione del capitale) e non quelli moratori, e cioè quelli che hanno finalità risarcitoria in caso di inadempimento del debitore.
La Banca d’Italia giustifica il fatto che la proposta disciplina regolamentare è riferita ai soli interessi corrispettivi in quanto: sul piano giuridico formale, manca una deroga esplicita al principio generale in base al quale è dovuto un risarcimento a fronte di un inadempimento (principio sancito nell’articolo 1218 del Codice civile); sul piano sostanziale, il divieto di interessi di mora comporterebbe che, in caso di inadempimento, gli unici rimedi a disposizione del creditore sarebbero la domanda giudiziale o il recesso del creditore dal rapporto contrattuale (e cioè la revoca del fido e la chiamata “al rientro” immediato).
In altri termini, in entrambi i casi si tratterebbe di conseguenze sproporzionate e contraddittorie: da una norma nata per la tutela del cliente della banca, si avrebbe la conseguenza di una situazione che lo danneggerebbe, costringendolo, anche se si avesse una situazione di sua transitoria difficoltà, a subire le conseguenze (economiche e non) di un giudizio o a vedersi revocata la linea di fido.
(fonte: Il Sole 24 Ore del 26 agosto 2015)