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Si riporta un articolo di qualche giorno fa del Sole24Ore, che commenta la sentenza della CTP di Ancona

Tale sentenza dei giudici provinciali anconetani ribalta il giudizio della sezione V della Cassazione Civile, che con sentenza 28/10/2015 n° 21972 aveva dichiarato come un libero professionista può lavorare gratis per amici e parenti. La questione, insomma, è aperta: oggi un professionista che decide di prestare gratuitamente la propria opera sa che può dover incorrere ad una contestazione dell’Erario.

Un professionista non ha amici. Né parenti. Solo clienti. E se proprio decide di fare un lavoro per il quale non vuol essere pagato, allora emetta comunque fattura, rinunci a incassare la parcella e versi le imposte sull’importo fatturato. Non è un consiglio, è quanto hanno argomentato i giudici della Commissione tributaria provinciale di Ancona, bocciando il ricorso presentato da un notaio contro un avviso di accertamento emesso dalla direzione provinciale delle Entrate. Ma è evidente che il caso potrebbe riguardare qualsiasi professionista alle prese con familiari, amici o anche clienti di lunga data. La sentenza (la 1279/3/2016) suonerà sorprendente a chi si è trovato a predisporre gratuitamente una dichiarazione dei redditi a favore di un parente, di un amico o magari a svolgere, sempre gratuitamente, pratiche per l’associazione sportiva dove gioca il figlio. Eppure, le argomentazioni difensive del professionista sono state bollate dai giudici come «singolari e patetiche». Una bacchettata, per aver affermato che il mancato incasso di onorari, o l’incasso di somme irrisorie, può essere giustificato da rapporti di «consuetudine ed anche di amicizia», così come da «ragioni di cortesia, di convenienza sociale, di buona creanza». Ma, secondo i giudici, «se il professionista avesse voluto omaggiare i clienti/amici, avrebbe dovuto regolarmente fatturare i compensi, declinandone il pagamento e accollandosi l’onere fiscale che, invece, ha accollato allo Stato e quindi a tutti i cittadini contribuenti». Il ragionamento non torna. È chiaro che le prestazioni gratuite possono essere usate come pretesto per l’evasione fiscale. Ma è altrettanto chiaro che il professionista può, per ragioni di parentela, di amicizia, di gratitudine, decidere di non far pagare alcun onorario. Anche le norme di legge (articolo 54 del Tuir) lo prevedono , nel fissare le regole per il reddito di lavoro autonomo: «il reddito… è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi percepiti… e quello delle spese sostenute nell’esercizio dell’arte o della professione». Rileva, in sostanza, il principio “di cassa”, per cui la prestazione gratuita non va considerata. È poi vero che, secondo costante giurisprudenza, il fisco può svolgere una valutazione di congruità dei ricavi di un imprenditore e, quindi, anche dei compensi di un professionista. Ma si tratta di una questione diversa, per la quale, peraltro, la valutazione di congruità si deve fondare su elementi presuntivi di gravità, precisione e concordanza, cioè, in parole povere, su elementi con un certo grado di attendibilità. Nel caso di Ancona, invece, il notaio aveva fatto pagare semplicemente le “spese vive” degli atti (bolli, registrazione eccetera) ma aveva rinunciato a richiedere l’onorario. Come dire che il marito di una commercialista deve farsi preparare la dichiarazione dei redditi da un collega della moglie. Pagando. Da qualsiasi parte la si giri, per il fisco (in verità, in questo caso per i giudici tributari) c’è sempre e comunque un prezzo da pagare…

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