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Il rent to buy è un contratto di godimento (immediato) in funzione della (successiva) alienazione di un immobile.
Nel nostro ordinamento è disciplinato dall’articolo 23 del Dl 133/2014 (lo “Sblocca Italia”), come convertito. Ma, in pratica, questo contratto non è mai partito, e non parte pur essendo un istituto – mutuato dal diritto anglosassone – che potrebbe essere un toccasana per tutti nello stato attuale di crisi e, in particolare, per chi cerca casa ma subito non dispone della somma necessaria ad acquistarla. Risolto (anche se non del tutto) dall’agenzia delle Entrate un problema fiscale che si poneva, non è infatti stato risolto il problema – pur posto dalla Confedilizia quando il provvedimento governativo era ancora allo studio – del rilascio del bene in caso di inadempimento del “conduttore” (per come, letteralmente, lo ha chiamato il legislatore). Il diritto alla restituzione dell’immobile, in questo caso, è espressamente stabilito dalla normativa, ma le modalità per azionare quel diritto no. E qui cominciano le difficoltà interpretative.
Dopo le prime incertezze, la dottrina è ormai unanime nel considerare il contratto di rent to buy come un contratto innominato, e quindi non riconducibile ad alcuna figura contrattuale tipica. E in questo ambito, si è pensato – per risolvere il problema del rilascio – di avvalersi dell’esecutività conseguibile dagli atti stipulati per atto pubblico: una strada, peraltro, che non ha avuto successo (nonostante la sua evidente legittimità, precisata anche dal provvedimento di un giudice in materia fallimentare) perché questa procedura convince poco il concedente, attesa la facile opposizione che può farsi (con conseguente facile ottenimento della sua sospensione) ad un titolo che viene emesso senza alcun altro accertamento (ad esempio, neppure sulla persistenza della morosità) oltre quello che il contratto sia stato stipulato per atto pubblico.
Forse, a questo punto – e data la difficoltà di ottenere in tempi brevi dal Parlamento una pur facile soluzione, già inutilmente proposta in occasione del varo dello “Sblocca Italia”, di 34 lettere in tutto: «Si applica il procedimento di convalida» – occorre di nuovo riflettere sull’applicabilità – esclusa troppo affrettatamente e troppo superficialmente – del procedimento di convalida di sfratto al rent to buy. Che è un contratto non certo considerabile una fattispecie di locazione(e neanche una sua sottospecie), ma che peraltro non è neanche un contratto alla locazione totalmente estraneo. È infatti un contratto che partecipa, a guardar bene, sia della locazione che della compravendita. E allora – anche in ragione del fatto, forse decisivo, del nome che il legislatore stesso ha dato al beneficiario, come visto – perché si deve continuare a considerare non applicabile il procedimento di convalida? Questo della normativa processuale applicabile, non è un problema che si pone da sempre per ogni contratto innominato, da sempre risolto con l’applicazione di norme non incompatibili? Non vale, naturalmente, nel nostro caso, l’argomento che è sempre applicabile la procedura della detenzione senza titolo: questa è, infatti, una procedura di nessun contratto tipico, sibbene di tutti i contratti immobiliari per così dire ordinari (a parte che, come è noto a tutti, si tratta di una procedura di fatto inesistente perché la sua lunghezza si calcola in decenni e quindi non convince alcun operatore e non risolve alcun pratico problema).

(fonte: Il Sole24Ore)

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